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Un semplice e sano sentimento di riconoscenza, così nasce il “Premio Ravera”, l’intervista a Michele Pecora.

Questa sera andrà in scena la settima edizione del Premio Ravera, cos’è che ti ha spinto ad ideare questo evento a memoria di Ravera?

Un semplice, sano, sentimento di riconoscenza, forse un po’ raro di questi tempi dove nessuno riconosce più nessuno. Quello che ha mosso la mia idea è il fatto che Gianni Ravera abbia dato a me una possibilità reale, concreta così come l’ha data a tantissimi miei colleghi e questo gli andava riconosciuto. Una riconoscenza per il lavoro che ha fatto nello spettacolo, lui era sostanzialmente un appassionato prima che un organizzatore e un talent scout, aveva una grande passione e una grande attenzione per la musica seppur nelle sue ovvie contraddizioni, vivendo in un mondo – quello musicale -abbastanza complicato e difficile per tutta una serie di motivi.

Ricordo che quando ci vedevamo parlavamo per la prima mezz’ora soltanto di Chiaravalle, sua città natale che amava moltissimo e dunque questo premio poteva essere organizzato soltanto nella sua terra.

 

La direzione artistica è di Pasquale Mammaro, quanto è importante la sua figura in questo premio?

La figura di Pasquale è fondamentale, è la persona che più direttamente ha vissuto sia gli anni di Ravera sia quelli successivi all’interno del mondo della musica, della discografia e dello spettacolo ed averlo al fianco è stato importante e necessario anche per poter coinvolgere più artisti possibili.

Io e Pasquale siamo amici sin da piccoli, giravamo insieme per le radio per le tv, l’ho voluto accanto per avere il conforto di una persona che sapeva bene qual era il mio intento e che allo stesso tempo poteva apportare valore straordinario alla manifestazione, così com’è stato.

Noi facciamo leva sul sentimento che non è strettamente legato al business della musica o dei concerti, ma legato al ricordo della persona nel nome della quale tantissimi artisti vengono con lo spirito di omaggiare una persona che ha fatto tanto per lo spettacolo. Ed è un sentimento che ha mosso tutti anche in passato,  ricordo Tony Renis che mi ha abbracciato, mi ha ringraziato, ma così tanti altri, e poi la cosa più bella è stata detta da Luca Ravera – figlio di Gianni- : “sentir parlare di mio padre da tutti questi personaggi per me è stata un’emozione grande”.

Questo è lo spirito in cui ci ritroviamo senza eccedere nel nostalgico ma semplicemente ricordare una persona che è riuscita a innovarsi a rinnovare lo spettacolo continuamente.

 

Nel 1977 vinci il festival di Castrocaro e più avanti incidi un brano che ottiene un grande successo “Era Lei” poi arrivano collaborazioni con grandi della musica italiana, il maestro Battiato, Zucchero, ti va di ripercorrere con noi la tua carriera?

Prima di Castrocaro c’è un mio incontro milanese dove mi portò Ivan Graziani, con il quale abbiamo avuto un’amicizia straordinaria – che è durata fino a quando ci ha lasciato – alla Numero Uno che era l’etichetta voluta da Battisti, dove feci un provino che non andò benissimo, come succede in tanti casi, poi da lì Castrocaro e l’incontro con Gianni Ravera.

A quel tempo avevo una canzone molto bella che era dedicata alla mia casa, la mia terra (Agropoli -SA) che si intitolava appunto “La mia Casa” che parlava della mia infanzia, raccontava e descriveva quel luogo che era rimasto fermo nella mia memoria con un senso di profonda nostalgia, Gianni l’ascoltò e si commosse, gli piacque in maniera particolare, beh quel festival poi lo vinsi e di lì arrivò il contratto con la Warner.

Più tardi, nel ’79 pubblicai “Era lei” che fu un grande successo radiofonico, colgo l’occasione per sottolineare questa cosa ai giovani: “il luogo naturale della musica è la radio”, la tv è importante per la popolarità dell’artista ma è la radio che veicola la musica.

Nell’80 vinsi un premio come l’artista più votato dalle radio private con il brano “Te ne vai” al Festivalbar, quel brano era scritto in collaborazione con un giovanissimo Adelmo Fornaciari che in quegli anni iniziava a farsi strada nel mondo della discografia.

 

Come pensi sia cambiata la musica negli anni, con l’arrivo dei talent?

Io credo che oggi ci sia una facilità di diffusione maggiore, è facile per tutti registrarsi un pezzo e pubblicarlo, ma credo che i parametri di scelta da parte di chi ascolta siano sempre gli stessi ovvero si possono pubblicare migliaia di cose ma, tra le migliaia di cose, chi ascolta va a pescare quelle che arrivano maggiormente e che piacciono; quindi non è detto che la facilità equivalga al successo.

Una volta per pubblicare un disco dovevi avere un contratto discografico, uno studio di registrazione ecc. ecc., quello che un po’ si è perso oggi sono le figure di riferimento, noi ci confrontavamo con produttori, autori, con direttori artistici, persone esperte e capaci che ci facevano sistemare i pezzi, mi riferisco a Bardotti, Roberto Danè, personaggi che hanno prodotto dischi straordinari, chi fa musica deve essere guidato e deve, in qualche maniera, poter modellare il suo talento affinché possa arrivare meglio a chi lo ascolta.

Oggi per via dei Talent un po’ si è perso questo passaggio, il filtro non è più quello dei discografici o di persone capaci ma è un filtro televisivo, e quindi la logica è essere parte di uno spettacolo ma non di una produzione più mirata verso la discografia, i giovani sono una grandissima risorsa di idee di innovazione e di energia.

 

Prossimi progetti per il futuro?

C’è un album in realizzazione che è quello della maturità, della tranquillità e della serenità, fatto con tutto il tempo a disposizione, e la novità è la prima canzone– e sicuramente l’unica – in dialetto cilentano dedicata proprio alla mia terra.

Ho iniziato con “La mia casa” e non so se concludo – o forse no- la carriera con una canzone dedicata alla mia terra. Mi piacerebbe poi che avesse un palco importante per il sentimento e la forza di attaccamento alla terra che questo brano esprime.

Le radici sono il bagaglio che ci portiamo dietro sempre – anche se a dire il vero – sogno di poter tornare lì un giorno, da dove sono partito, in quel luogo magico dove sembra di poter vivere fuori dal tempo.

 

 

Teresa Gargiulo

Teresa Gargiulo, giornalista iscritta all’Ordine del Lazio. Salernitana di origini, romana di adozione. La sua formazione nasce all'interno di testate giornalistiche nazionali e si perfeziona con studi specifici in scienze politiche e in comunicazione. Appassionata di viaggi, lifestyle e pubbliche relazioni.