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Simboli e rispetto: Raspelli richiama i sindaci all’uso corretto della fascia

In un tempo in cui l’immagine pubblica degli amministratori locali è sempre più esposta e scrutinata, anche i dettagli contano. E tra questi dettagli ce n’è uno che riguarda tutti noi, perché simbolico, identitario e profondamente italiano: il Tricolore.

Non si tratta solo di un frammento di stoffa, ma di un emblema della nostra storia, della nostra Repubblica e del sacrificio di chi ci ha preceduti. Indossarlo — specialmente da parte di chi rappresenta le istituzioni — non può essere un atto banale o trascurabile. Deve essere, prima di tutto, un gesto consapevole e rispettoso.

Per questo motivo Edoardo Raspelli, giornalista e cittadino profondamente legato ai valori civici e alla memoria nazionale, ha voluto rivolgere un appello diretto ai sindaci italiani e all’ANCI. Una riflessione sincera, puntuale, che nasce dall’osservazione e da una lunga passione civile:

Cari amici sindaci, cari amici dell’ANCI,
sono Edoardo Raspelli e vi scrivo per portare alla vostra attenzione, una questione che mi sta a cuore da anni e che, a quanto pare, continua a generare confusione e, talvolta, gesti che fanno discutere: il corretto modo di indossare la fascia Tricolore da parte di voi, nostri Primi Cittadini.
Chiariamo subito una cosa. Edoardo Raspelli, mio nonno, era Tenente dei Carabinieri Reali. Mio padre Giuseppe, prima di diventare Segretario Nazionale del Sindacato degli Ospedalieri della CISL, lo era del Sindacato Unico Fascista (mentre nascondeva gratis, per pietà, in casa sua, una vecchina ebrea, Rachele Bettman, salvandola dai campi di sterminio nazifascisti). Da bambino io sventolavo il Tricolore in piazza Duomo ed imparavo a memoria, da Cuore, il passo “Io amo l’Italia”.

Ultimamente si sono accesi i riflettori su un tema che per me non è affatto di poco conto, ma che tocca la dignità e il rispetto dei nostri simboli nazionali. Non voglio menarmela con la retorica dell’italianità, ma un rappresentante delle istituzioni non può abbandonarsi alla sciatteria e trattare la cosa con superficialità. ll Tricolore, come ben sappiamo, è verde, bianco e rosso, dal lontano 7 gennaio 1797. La sua corretta esposizione, da sinistra a destra, è un dato di fatto storico e iconografico. Basta guardare qualsiasi bandiera esposta correttamente, un manifesto, un volantino. Ho persino recuperato, grazie alla celebre Fototeca Gilardi di Milano, un’immagine di Carlo Cattaneo durante le Cinque Giornate di Milano che lo mostra con la fascia tricolore correttamente indossata. Verde a sinistra, bianco al centro, rosso a destra.
Chiaro, no? Eppure, quando ci troviamo di fronte a un sindaco, a un Primo Cittadino che ci parla, che celebra un matrimonio, che rilascia un’intervista, cosa vediamo? Ahimè, la maggior parte delle volte, la fascia tricolore è messa al contrario: davanti a noi, da sinistra a destra, di traverso sulla spalla destra, vediamo prima il rosso, poi il bianco e infine il verde. Ed è qui che casca l’asino! La questione non è una bagattella, una fesserie per perdere tempo. È una questione di rispetto delle regole, della storia e dell’immagine che voi amministratori veicolate.

NEL CUORE DI PIACENZA, IL 2 GIUGNO,
GIGANTESCO TRICOLORE INVERTITO

Il 2 Giugno, Festa della Repubblica, sono inorridito: sul Colosseo a Roma il Tricolore, gigantesco, era corretto; a Piacenza, nel cuore della città, eroici pompieri si sono arrampicati per esporre un enorme Tricolore ma, ahimè, all’incontrario, con il rosso a sinistra. Ed era la Festa della Repubblica !!!!
Se i sindaci francesi, con la loro bleu, blanc, rouge, riescono a indossare la fascia in modo corretto (blu a sinistra, bianco al centro, rosso a destra, come ho potuto osservare in diverse occasioni, persino il sindaco di Parigi mentre canta la Marsigliese!), perché noi dovremmo sbagliare? Ho avuto il piacere di vedere alcuni sindaci adottare questa accortezza. Ad esempio, il medico Gianni Montano, sindaco di Olgiate Olona, ha scelto di indossare la fascia correttamente durante una celebrazione ufficiale. Lo stesso hanno fatto Piero Fassino e Felice Magnacca, anche se – ammetto con una punta di ironia – non sempre in maniera costante. La mia richiesta è semplice: facciamo sì che il Tricolore venga portato con rispetto. Non servono decreti o normative; basta un po’ di attenzione da parte di chi ha l’onore di rappresentare le nostre comunità. Spero che l’ANCI voglia prendere a cuore questa proposta e sensibilizzare i sindaci su questo tema. E concludo con una riflessione che vorrei lasciarvi, come un buon pezzo di torta nell’epilogo di un ottimo pranzo. I simboli non sono solo pezzi di stoffa o disegni astratti. Rappresentano la nostra storia, trasmettono emozioni, suscitano orgoglio. Indossare il Tricolore nel modo giusto è come servire un piatto perfettamente bilanciato: è un gesto di amore verso chi guarda e di rispetto verso ciò che rappresentiamo. Facciamo in modo che la fascia tricolore sia un messaggio di cura e bellezza per il nostro territorio.

Un po’ di anni fa, quando ero consigliere incaricato alla cultura del Comune della mia Bresso, in provincia di Milano, mi accorsi che nello stemma della città, accanto al gelso simbolo dell’ agricoltura locale di un tempo, c’era un sole con un grande sorriso. Tra l’altro, in quell’epoca, quello era anche il simbolo di un partito, il Sole Che Ride…
Una breve ricerca in archivio confermò che era stato lo scherzo di qualche impiegato comunale burlone che aveva aggiunto una bocca sorridente alla semplice immagine di un sole raggiante. Lo feci cambiare !
Dopo quel Sole cambiato, c’è da cambiare il nostro Tricolore, almeno quello indossato, sia sulla spalla di destra, sia su quella di sinistra !!!
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IO AMO L’ITALIA
(dal libro Cuore di Edmondo De Amicis)

“Io amo l’Italia perché mia madre è italiana, perché il sangue che mi scorre nelle vene è italiano, perché è italiana la terra dove son sepolti i morti che mia madre piange e che mio padre venera, perché la città dove son nato, la lingua che parlo, i libri che m’educano, perché mio fratello, mia sorella, e il grande popolo in mezzo a cui vivo, e la bella natura che mi circonda, e tutto ciò che vedo, che amo, che studio, che ammiro, è italiano.
Italia, patria mia, nobile e cara terra, dove mio padre e mia madre nacquero e saranno sepolti, dove io spero di vivere e di morire, dove i miei figli cresceranno e morranno; bella Italia, grande e gloriosa da molti secoli, unita e libera da pochi anni; che spargesti tanta luce d’intelletti divini sul mondo, e per cui tanti valorosi morirono sui campi e tanti eroi sui patiboli. Ti amo, patria sacra! E ti giuro che amerò tutti i figli tuoi come fratelli; che onorerò sempre in cuor mio i tuoi grandi vivi e i tuoi grandi morti; che sarò un cittadino operoso ed onesto, inteso costantemente a nobilitarmi per rendermi degno di te, per giovare con le mie minime forze a far sì che spariscano un giorno dalla tua faccia la miseria, l’ignoranza, l’ingiustizia, il delitto, e che tu possa vivere ed espanderti tranquilla nella maestà del tuo diritto e della tua forza. Giuro che ti servirò, come mi sarà concesso, con l’ingegno, col braccio, col cuore, umilmente e arditamente; e che se verrà un giorno in cui dovrò dare per te il mio sangue e la mia vita, darò il mio sangue e morrò, gridando al cielo il tuo santo nome e mandando l’ultimo bacio alla tua bandiera benedetta”.

[tratto da “Cuore” di Edmondo de Amicis]